Vintage, la gioia di crearsi il proprio stile

Di Nerolla

“Per essere insostituibile, devi essere differente”, diceva la mitica Coco Chanel. “Tutti possono vestirsi bene e essere glamour, ma è l’abbigliamento che una persona usa tutti i giorni a darne il fascino”, afferma oggi Alexander Wang. “Non essere nei trend. Non farti appartenere dalla moda, ma decidi cosa sei, cosa vuoi esprimere dal modo in cui ti vesti e dal modo in cui vivi”, pensava Gianni Versace. “La moda può essere comprata. Lo stile bisogna averlo”, scriveva Edna Woolman Chase, caporedattrice della rivista Vogue dal 1914 al 1952. “La moda è ciò che ti viene offerto quattro volte l’anno dai designer. Lo stile è ciò che ti scegli”, sostiene l’attrice ed ex supermodella statunitense Lauren Hutton. Allora cosa fare? Bisogna guardarsi allo specchio e decidere di essere sé stessi/e, creandosi il proprio stile d’abbigliamento. Non serve tantissimo. Una persona saggia diceva: “Basta avere due capi d’abbigliamento buoni, incrociarli tra loro, cambiargli gli accessori e sembrerai sempre una persona di forte personalità”.

Camminare in via Condotti a Roma o in via Monte Napoleone a Milano è una passeggiata da sogno, ma la realtà è che i desideri possono realizzarsi anche altrove. La parola chiave? Vintage! Nell’accezione moderna la parola viene utilizzata per indicare un oggetto di culto, fuori produzione, appartenente ad un’altra epoca o generazione. Deriva dal termine francese “vintage”, di campo enologico: indica il vino d’annata, quello reso pregiato dall’invecchiamento. Cosa c’è quindi di più prezioso di un capo di abbigliamento usato, che testimonia lo stile di un’epoca o di un particolare creatore di moda? Altrimenti perché oggi si parlerebbe addirittura di “new vintage”, cioè la riscoperta in passerella di ciò che è stato, riveduto in ottica moderna? Oltretutto, in epoca green, il riutilizzo è il top. Certo, scegliere tra vestiti usati messi alla rinfusa su una bancarella con tanto di scritta in cartone “abiti di seconda mano” non ha appeal. Non si potrà pretendere, però, neppure di ritrovarsi davanti ad un negozio raffinato come la boutique chiamata “Vintage chic”, che a New York nel 1965 proponeva una selezione accurata di abiti storici e antichi, anche se di pochi decenni. Se in Italia un’auto è considerata d’epoca quando ha più di 20 anni di età dalla data di costruzione (ed è stata radiata dal Pubblico Registro Automobilistico), lo stesso arco temporale va considerato anche per il vintage. Quando una cosa è di seconda mano, infatti, significa che è usata e messa in vendita, anche se è nuovissima. Come saper distinguere il valore di un capo d’abbigliamento vintage? L’unico modo è conoscere la moda dagli anni ‘20 agli anni ‘90 del Ventesimo secolo e da qui crearsi un proprio stile.

Gli anni ‘20, ad esempio, per le donne significano i primi corsetti elasticizzati fatti con materiali sintetici e corredati già di zip, abiti corti e sfrangiati di sera e, per il giorno, l’abito di taglio dritto con linee morbide e la cintura più bassa rispetto alla linea della vita naturale. Il grande classico tra i vestiti anni ’20 nasce dall’eleganza creativa di Coco Chanel: l’abitino nero, ribattezzato Abito Ford, per la sua popolarità.

I vestiti anni ’30, per il giorno, sono di materiali comodi, come il cotone o il rayon. L’abito da casa è di solito l’hooverette dalla chiusura a vestaglia, con fantasie accese e la possibilità di indossarlo anche al rovescio: le donne amavano cucirselo da sole, seguendo un cartamodello. Per uscire, gli abiti erano formali, spesso di seta, dai colori sobri, ma decorati con pizzi e ricami; frequentemente le maniche erano a sbuffo e la vita alta era evidenziata da una cintura.

Gli anni ’40 sono quelli della Seconda guerra mondiale (scoppiata il primo settembre 1939 e terminata il 2 settembre 1945), quindi tutto è razionato e i colori militari – verde oliva, beige e grigio – campeggiano anche negli armadi delle casalinghe. Tra i pochi vezzi femminili di questo periodo, ci sono le décolleté modello peep-toe, cioè aperte in punta.

A segnare gli anni ‘50 è la silhouette a clessidra, fatta di ampie gonne e vitini di vespa, ideata a Parigi nel 1947 da Christian Dior, che così restituisce alla donna quella femminilità abbandonata durante la guerra. Questa collezione – fatta interamente da gonne per tutte le occasioni, dal lavoro in ufficio alla serata di gala, accompagnate con grazia da eleganti giacche – fu battezzata a prima vista “new look” da Carmel Snow, giornalista della rivista di moda Harper’s Bazaar, che in quegli anni, assieme a tante colleghe, diede risalto alle storie delle modelle, che uscivano dalle passerelle per essere fotografate in abiti color pastello con accessori “iper-coordinati”, come imponeva la moda a quel tempo.

Gli anni ’60 sono quelli della minigonna lanciata da Mary Quant, resa seducente dalla non ancora famosa modella Twiggy; quelli degli abiti a trapezio, corti, poco scollati, senza maniche; quelli del gusto hippy per colori accesi e fantasie floreali esagerate; e quelli dell’optical art che influenza stoffe dalle stampe geometriche.

Gli anni ‘70 si colorano di look eccentrici, caratterizzati da: camicie a fiori con colletti a punte lunghe; gonne che arrivano fino ai piedi, ampie e a balze; e, soprattutto, dal boom dei mitici pantaloni a zampa di elefante – già di moda a dire il vero all’inizio degli anni ‘60 con Adriano Celentano –, sotto i quali risaltavano le scarpe con la zeppa.

Gli anni ’80 sono un caleidoscopio di scaldamuscoli, fasce nei capelli, jelly shoes, occhiali da sole a goccia, guanti senza dita, tute di nylon dai colori improbabili, pantaloni a vita alta, t-shirt bianche extra-large con maxi-stampe e, soprattutto, spalline che, indossate vistosamente, incarnavano l’emblema della nuova posizione di potere guadagnata dalle donne (almeno nella moda!). Ma sono anche gli anni del brand, soprattutto fra i giovani: o si indossava la marca giusta o non si era cool!

Negli anni ’90 trionfano i jeans a vita alta – in particolare, sono un cult i mom jeans, ossia i modelli a cinque tasche e a gamba a palazzo o diritta -, le camicie a quadri di flanella, i maglioni ampi, le felpe colorate, i vestiti sottoveste e gli scrunchie tra i capelli.

Cosa succederà quest’estate? Dalle passerelle e dalle vetrine sprizza una creatività che si ispira soprattutto agli anni ’60 e ’70, con pantaloni a zampa, sandali con zeppa, vestiti floreali e, soprattutto, molto corti. Ma l’importante è sempre: essere sé stessi/e!

La regina del look, Chiara Ferragni, sul red carpet del Met Gala 2022 a New York, si è presentata mano nella mano a Fedez in un look vintage da vera diva, con un lungo abito nero della collezione couture del 1997, in omaggio a Gianni Versace, con spacco e guanti da sera.

Farsi tentare dalle grandi collezioni del passato e ispirarsi ad esse per costruirsi la propria immagine è scelta di un carattere deciso e determinato. Lo stilista tunisino Azzedine Alaïa amava ripetere: “Io creo i vestiti, le donne creano la moda”. Quindi, bisogna osare e lasciarsi guidare dall’istinto. Da dove partire? Si potrebbe cominciare guardando l’esposizione di Corte Coppedè!

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