È stata la foto del Teatro di Taormina ripresa da un punto di vista insolito a rapire l’attenzione sull’espositore Carlo Iorio a Corte Coppedè. Con un’umiltà incredibile, ha conversato della sua passione per la fotografia e come da questo hobby sia nato il suo progetto “Pareti mozzafiato”. Romano classe 1953, dal lavoro alla Luiss, dove si occupava di Master, una volta in pensione ha messo a frutto questa sua sensibilità artistica, trasformandola in qualcosa di più di un semplice passatempo.
Come nasce il suo amore per la fotografia?
“C’è da sempre, nel senso che con la famiglia e per conto mio, ho avuto il ‘vizio’ di scattare foto ovunque e a qualunque cosa si facesse in vacanza. Scatto foto quando e come capita per ricordo”.
Quando l’hobby è diventato un lavoro?
“Quando sono andato in pensione, da un po’ meno di un anno”.
Ha già tanti lavori esposti…
“Sì, perché avendo io questa abitudine a fotografare tutto, nell’azienda in cui stavo, che è l’Università Luiss nella sede di Viale Pola, una costruzione storica abbastanza importante con molti dettagli da mettere in evidenza, per passione facevo molte fotografie, sia nei giardini che nelle stanze. Avevamo un ufficio con pareti spoglie che potevano essere allestite e, con qualche collega, ci siamo detti perché non stampiamo su tela alcune foto scattate e le appendiamo? Così per gioco abbiamo scelto delle foto e le abbiamo fissate al muro. A quel punto, siccome l’ufficio è aperto al pubblico (studenti e docenti), tutte le persone che ci venivano a trovare rimanevano colpite da queste tele e, soprattutto, dall’effetto complessivo che davano alla parete, più che dalla singola fotografia. Dopo un po’ di tempo che ricevevamo complimenti, assenso e consenso per queste opere fotografiche, ne abbiamo stampate molte altre appendendole sia nell’ufficio dove stavo io, che lo abbiamo sostanzialmente riempito di un numero veramente altissimo di tele, sia anche in altri uffici all’interno della Luiss, nelle sedi di Viale Pola, Viale Romania e Parioli. Oggi all’interno della Luiss esistono cinque, sei uffici che sono completamente arredati con queste mie tele. Poi dopo, una volta andato in pensione, mi sono detto: se all’interno dell’ufficio ho avuto un tale apprezzamento magari anche fuori, al resto del mondo potrà interessare un’attività di questo tipo. Allora ho stampato delle tele che ricordavano molte altre fotografie che ho fatto, dalla Sicilia a Roma, le ho realizzate in vari formati ed eccoci qua”.
Ha dei soggetti preferiti?
“Sicuramente particolari di sculture e anche panorami. Deve sapere che, siccome gli obiettivi con cui stampo queste foto sono due – il senso creativo che è alla base di qualunque scatto e il doverli appendere ad una parete -, molte foto hanno un formato orizzontale molto largo e allora molto spesso per determinati panorami, invece di scattare una foto ne scatto diverse, per poi farne una composizione: ne esce così una tela di arredo di dimensioni abbastanza importanti, come ad esempio due metri per un metro”.
Si riconosce una cifra stilistica?
“No, infatti, le mie foto sul profilo Instagram (www.instagram.com/carlo.iorio) mostrano un po’ di tutto, da panorami a monumenti passando per determinati particolari. In realtà, poi, un monumento uno lo può fotografare sia nel suo insieme, sia da una certa prospettiva, sia posandosi su un dettaglio ed è la scelta particolare a farsi aspetto creativo, un’interpretazione fotografica del monumento stesso”.
Ha un modello fotografico a cui guarda?
“No. Non mi sono mai ispirato ai fotografi famosissimi”.
La sua proposta al pubblico può essere definita “on demand”?
“Dovrebbe essere ‘on demand’ esatto. È ovvio che in un mercato come quello di Coppedé o Ponte Milvio, dove sto andando, è poco comprensibile come situazione. Però ho visto che in qualche modo le persone rispondono, perché vedono una tela che gli piace e magari possono proporre un soggetto diverso che io cerco di realizzare, come è indicato nel segnalibro promozionale che ho fatto. Le opere esposte, in realtà, sono un campionario, gli esempi di come può uscire fuori una cosa. Non è che uno si compra una tela larga due metri di Sperlonga e se la mette in un salotto, se uno ha un motivo sì, però una foto di quella portata può far venire in mente a uno di Frascati che si possa riproporre la stessa cosa sulla propria città come quella fatta a Sperlonga. Io sono in grado di fornire questo servizio”.
Mi può dare un’idea dei prezzi?
“C’è un costo fisso che è dato dalla stampa e dalla tela che faccio fare ad un laboratorio che ho testato, avendo acquisito l’esperienza giusta alla Luiss dove all’epoca stampavamo su diversi laboratori di Roma. Alla fine, io per stampare le mie foto vado in un laboratorio che si trova a San Marino, artigianale, dove mi danno la possibilità di studiare insieme a loro le dimensioni, che è una cosa importantissima per quello che voglio fare io. Quindi il prezzo varia a seconda delle dimensioni e di ciò che io pago al laboratorio. Però, in linea di massima, io faccio un prezzo forfettario per quelle grandi, da 2 metri, tra i 300 e i 350 euro, e quelle standard, tipo 90 di base per 60 d’altezza, sui 200 euro. Però, c’è un discorso di economia di scala interessante perché, siccome l’obiettivo, secondo me, non è ‘uh che bella foto, adesso me la compro e me la appendo al muro’, anche se ovviamente è benvenuto anche questo tipo di cliente, però poiché non sto vendendo nessuna foto che possa essere paragonabile ad un’opera d’arte nel senso stretto del termine, tipo la Gioconda, queste foto hanno una grossa propensione all’arredo e al vestire le pareti, quindi la cosa che io consiglio è mettere due, tre, quattro tele, in una parete molto, molto grande, oppure una tela grande e due piccole, quindi a quel punto il costo unitario della standard, che in un formato rettangolare è di circa 200 euro, prendendone due o tre si scende anche a 150 euro l’una per capirci”.
Ha fotografato anche Ponte Milvio e Corte Coppedé?
“Ho una stampa di Ponte Milvio, Coppedé non l’ho fotografata, l’avrei voluta fare, ma non c’è mai stata l’occasione perché la zona è strapiena di macchine parcheggiate per cui diventa una cosa un po’ problematica. Però, al di là di questo, tra l’altro, come vede sul mio profilo Instagram, mi piace molto fare delle fotografie di dettagli di statue e, da questo punto di vista, Coppedé potrebbe uscire molto bene. Prima o poi lo farò”.
Come sono le domeniche finora trascorse a Corte Coppedé e Ponte Milvio?
“È molto interessante perché le persone, moltissime delle persone che passano, apprezzano e fanno complimenti, si interessano e chiedono delle spiegazioni per capire una cosa che fino ad oggi nessuno aveva mai proposto e sicuramente non conoscono, almeno non nei termini in cui la propongo io. Dal punto di vista strettamente commerciale devo dire che grossi affari non ne faccio, perché è difficile trovare una persona che viene e spende 300 euro lì sull’unghia dopo aver visto una singola tela. Sono molte, però, le persone che chiedono informazioni con la promessa di rifarsi vivi”.
Corte Coppedé e Ponte Milvio sono una vetrina?
“Esatto. A Coppedè sono stato solo una volta, ma a Ponte Milvio diverse persone sono tornate per riguardare e riparlare con me per capire un attimino come e cosa potrebbero fare e forse faranno in un futuro, per cui magari una persona che viene due, tre volte a Ponte Milvio e vede le tele può darsi che alla fine, alla quarta volta, decidiamo un soggetto e io lo fotografo e gli stampo le tele, oppure si prende le tele che ho, quello che sia”.
Il nome che ha dato al progetto “Pareti mozzafiato” è una sua ideazione?
“Sì, l’ho trovato io, ovviamente non è brevettato ahimè. Normalmente questo tipo di proposta viene chiamata, come sul retro del segnalibro promozionale è indicato, o gallery wall oppure tele d’arredo e, poi, l’insieme delle tele che sono in una parete con un’interlocuzione inglese si chiamano Cluster Wall, proprio per indicare la composizione delle varie tele. Un’altra caratteristica che mi piace sottolineare di queste tele è che sono tutte quante senza cornice. Qualcuno degli acquirenti mi ha detto che ci avrebbe messo la cornice, io però l’ho sconsigliato. C’è un motivo per il quale io propongo di appenderle senza cornice, perché, secondo me, arredano molto meglio. Se lei fa caso, quando entra in una stanza dove ci sono due, tre, quattro, cinque quadri, l’occhio viene colpito dalla cornice in prima istanza e non dal contenuto del quadro. Normalmente, poi, la cornice viene messa attorno ad un quadro per dare la possibilità di concentrare l’attenzione dello spettatore sul contenuto della cornice; mentre l’obiettivo della mia proposta è quello di dare una visione d’insieme di tutta la parete vera e propria, dopo di che uno vede i singoli elementi del puzzle che ha fatto, per questo, secondo me, la cornice non ci va, perché distoglierebbe l’attenzione rispetto al risultato finale d’insieme. È un mio pensiero, non tutti la pensano così. Se io devo appendere un quadro solo al muro, magari la cornice ha un senso, perché la cornice e anche il passepartout intorno al quadro mi danno la possibilità di concentrarmi sul quadro stesso, sono fatti apposta, funziona come discorso. Ma se ho tre, quattro tele, allora io faccio fatica a concentrarmi in contemporanea su tre tele, mi devo concentrare su ogni tela per volta e questo chiaramente, secondo me, rispetto ad un progetto di arredamento o abbellimento delle pareti in un ambiente, soprattutto se un ambiente di lavoro tipo un ristorante, ufficio, ma anche per un salotto di casa vale, la cornice mi distoglie l’attenzione, questo è il mio punto di vista”.
A casa sua ha più tele a colori o in bianco e nero?
“A casa mia avevo appese una tela a colori ed una in bianco e nero. In proporzione le mie tele esposte sono più a colori, anche se personalmente preferisco il bianco e nero che ha una potenza di espressività e anche di arredamento notevole. Però ho visto che la maggior parte delle persone che acquistano sono rimaste colpite dai colori. Una tela di Lipari, che era una tela enorme, due metri per più di un metro, veramente mi creava incredibili problemi a trasportarla, aveva una profondità importante grazie ai colori. Quindi è stata scelta dall’acquirente per questo senso di profondità dato dai colori”.
Sul segnalibro promozionale è scritto anche “Souvenir Photo”, che servizio è?
“Adesso viviamo un momento di crisi del turismo, però se io fossi un turista che va in un Paese straniero, quindi, fossi un giapponese o un americano che viene in Italia, invece di comprarmi il souvenir di Piazza San Pietro mi comprerei un quadretto anche piccolo ma originale che sia rappresentativo di Piazza San Pietro e, se poi questa diventa un’opera creativa, ha, secondo me, un valore di ricordo anche superiore. È un servizio, quindi, rivolto ad un target diverso. Una cosa importante è che tutte le foto sono tele certificate in base alla foto scattata, ovverosia ogni foto è catalogata, numerata e certificata e le tele rappresentano il numero della stampa, la quantità di stampe previste per quella foto, ovverosia per quello scatto. Dietro, oltre alla firma mia, ci sono anche diversi numeri. Normalmente le tele che espongo sono tutte quante 1/20 o 1/5 che vuol dire che quella è la prima tela di un numero massimo programmato di 20 o massimo programmato di 5. Il che vuol dire che quando arriverò a venderne 20 o 5, a seconda di quello che ho stabilito a priori, io quello scatto non lo stampo più. Questo per dare valore alla tela stessa. Perché di fatto, poi, possono anche non piacere dal punto di vista strettamente fotografico, ci mancherebbe altro, ma comunque rimangono degli scatti unici sotto tutti i punti di vista e anche da un punto di vista della tiratura, che è un fatto importantissimo perché se uno va a comprare una stampa da appendere a una parete in un grande magazzino, spende anche un po’ di meno, ma non ha l’unicità, non ha la garanzia di avere qualche cosa di creativo apposta per lui. Quindi diventa un discorso per chi ha comprato di garanzia ed anche di serietà”.
C’è una fotografia a cui lei è più legato?
“Di quelle che espongo quella in bianco e nero di Castel Sant’Angelo ripresa da Ponte Sant’Angelo con delle persone che camminano di spalle, perché è stata una delle mie prime foto che ho pensato di trasformare in tela e devo dire che è una delle tele che piace di più fra l’altro”.
(a cura di Nerolla)